I miei genitori sono sempre stati grandi appassionati di musica; quindi, fin da piccola ero abituata a vedere concerti dal vivo o in televisione. Proprio in quel periodo ho iniziato a chiedermi come mai non ci fossero molte donne su tutti quei palchi. Certo, le figure femminili non mancavano, soprattutto le figure di cantanti o cantautrici: l’esibizione di Annie Lennox al concerto per la morte di Freddie Mercury è stata una delle mie prime folgorazioni musicali. Era però difficile vedere una musicista donna, qualcuna che suonasse soltanto e possibilmente non musica classica. Sempre da bambina ricordo infatti di aver notato più volte che «Hey, la chitarrista di Micheal Jackson è una donna!», come fosse una cosa incredibile. E in effetti con il senno di poi Jennifer Batten era una chitarrista incredibile, in grado di fare molto di più di quello che sentivamo con Jackson o con Jeff Beck. Diventando adolescente la domanda diventava però sempre più martellante: come mai così poche chitarriste? Diciamo che il rock non ha le caratteristiche per essere un genere molto inclusivo così come non lo è molta dell’epica che si porta dietro fatta di groupie, di testi che non si preoccupano troppo di costruire una sana educazione sentimentale. Ci preoccupiamo molto dei testi dei trapper ma anche i Led Zeppelin non è che fossero degli stilnovisti. Questo ragionamento è facile da fare ora che ho quasi quarant’anni, che i tempi sono cambiati e che c’è una nuova sensibilità sul femminismo e in generale le tematiche di genere. Non lo era tanto allora.
Quando a dodici anni decisi di abbandonare la chitarra classica per quella elettrica a me sembrò naturale: volevo suonare quello che ascoltavo. Inoltre, la chitarra elettrica mi sembrava lo strumento più banale che potessi decidere di suonare. Invece quando dicevo cosa suonavo vedevo facce perplesse. A prendere lezioni eravamo solo due ragazze. La chitarra elettrica non sembrava essere adatta ad una ragazza. Non che questo mi abbia fermata. Sicuramente però mi ha creato qualche insicurezza che mi ha portata ad interrompere il percorso più volte, a farmi delle domande, a privarmi di un po’ di entusiasmo nei confronti di questo strumento.
Ho scoperto molto più tardi che invece proprio nel blues, il genere che ha dato vita a tutti gli altri che amo e a cui non ho mai pensato come qualcosa di molto femminile, le donne chitarriste erano presenti dagli inizi del secolo. Donne, nere, chitarriste. Non mi stupisce che io abbia scoperto le loro storie e il loro suono così tardi. Storie incredibili come quella di Elizabeth “Libba” Cotten che nacque 1893 in North Carolina. Faceva la domestica; eppure, non solo inventò uno stile (il Cotten picking) in cui la melodia veniva suonata con il pollice e le basse con le altre dita ma scrisse anche uno dei pezzi tradizionali folk più conosciuti d’America (“Freight Train”) di cui fecero una cover anche i Beatles. Molto interessante anche il percorso di “Sister” Rosetta Tharpe, altra chitarrista nera, nata a Cotton Plant in Arkansas nel 1915, la chiamano «la madrina del rock and roll» perché fu tra i primi musicisti a compiere la transizione dal gospel a qualcosa di altro. Fu anche tra le prime ad usare la distorsione sulla chitarra elettrica (!), cosa piuttosto inaudita per l’epoca.
Mi piacerebbe molto che le storie di Libba Cotten e di Rosetta Tharpe diventassero così conosciute da fare in modo che tutte le bambine scoprissero che le donne chitarriste hanno una storia lunga che può essere fonte di grande ispirazione. Avrà forse pensato qualcosa di simile Angela Davis scrivendo “Blues legacies and black feminism: Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith and Billie Holiday” (“Blues e femminismo nero: Gertrude “Ma” Rainey, Bessie Smith e Billie Holiday”, Edizioni Alegre, 2022). Nel libro non vengono solo raccontate le storie delle tre protagoniste citate (e molte altre), ma viene spiegato come esista una lunga tradizione di blues al femminile (nelle tematiche affrontate e nei testi soprattutto, ma anche negli approcci) che ha lasciato una traccia in quello che ne è seguito. Una traccia le cui radici vale la pena riscoprire, come motivo d’spirazione ma soprattutto di consapevolezza: la musica che suoniamo viene anche da lì.
(Alexandra Lagorio)
PS. Lascio una piccola playlist disponibile su Spotify e YouTube per poter ascoltare e scoprire Elizabeth “Libba” Cotten e “Sister” Rosetta Tharpe .
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