Chthulucene è una performance di Alexandra Lagorio alla chitarra elettrica, Luca Barachetti alla carriola preparata e le voci registrate di Carmen Pellegrinelli e Alice Norma Lombardi. La performance si ispira ai libri “Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto” (Nero Edizioni, 2019) e “Le promesse dei mostri” (DeriveApprodi, 2019) di Donna Haraway.
Si tratta di un’improvvisazione racchiusa in due parti che provano a tradurre – e quindi in qualche modo a tradire – il pensiero articolato di Haraway. Una visione della realtà contemporanea e futura nella quale “bisogna essere presenti nel mondo in quanto creature mortali interconnesse in una miriade di configurazioni aperte fatte di luoghi, epoche, questioni e significati”, generando parentele “in maniera imprevedibile e imprevista” fra umani, non-umani, più che umani e non viventi per “imparare a restare a contatto con il vivere e il morire in forma responso-abile su una Terra danneggiata e ferita”.
Alexandra Lagorio e Luca Barachetti – imparentando reciprocamente e in modo improvvisativo la chitarra elettrica e la carriola preparata – nella prima parte della performance suoneranno una malinconia per il mondo infetto. Nella seconda parte invece esploreranno la giungla di mostri fantastici dello Chthulucene, quelle “creature ctonie” che “sono mostri nel senso migliore del termine: dimostrano e performano l’importanza materiale dei processi terrestri e di tutte le creature”.
Le due parti saranno collegate da uno stralcio di “Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto” letto da Carmen Pellegrinelli, mentre la conclusione sarà affidata alla lettura della poesia di Luca Barachetti “Simpoietico” da parte di Alice Norma Lombardi.
Chthulucene è il termine con cui Donna Haraway vuole sostituire la parola antropocene, spostando lo sguardo dall’antropos (l’uomo) ad un’idea di creatura vivente tentacolare, uomo compreso. Chthulucene del resto non deriva dal Cthulhu di H.P. Lovecraft ma dal ragno Pimoa Cthulhu, una specie endemica che vive sotto i tronchi degli alberi nelle foreste di sequoia delle contee di Sonoma e Mendocino, in California.
“Pensiamo di saperne abbastanza da giungere alla conclusione che una vita sulla Terra capace di includere gli esseri umani in maniera sostenibile non sia più possibile, che l’apocalisse sia davvero vicina.
Questo atteggiamento è comprensibilissimo nel bel mezzo della sesta estinzione di massa sperimentata dal pianeta Terra, mentre le guerre ci divorano, l’estrazione delle risorse procede in maniera sconsiderata e miliardi di persone e altre creature soccombono alla povertà a causa di una cosa chiamata «profitto», «potere» o «Dio». Un disfattismo da fine dei giochi si impone nella burrasca suscitata dal sentimento profondo, e non soltanto dalla consapevolezza, che quasi sicuramente gli esseri umani diventeranno undici miliardi entro il 2100. Questo numero equivale a una crescita di nove miliardi di persone in 150 anni – dagli anni Cinquanta al 2100 – con delle conseguenze fortemente inique per i ricchi e i poveri – per non parlare dell’enorme disparità di fardelli imposti alla Terra dai ricchi rispetto ai poveri – e delle conseguenze ancora peggiori per tutti gli esseri non-umani in ogni luogo. Ci sono molti altri esempi di realtà disperate e urgenti; le Grandi Accelerazioni a partire dal secondo dopoguerra hanno lasciato il segno sulle rocce, nelle acque, nei cieli e su tutte le creature. C’è una sottile differenza tra riconoscere la portata e la serietà di questi problemi e soccombere a un futuro astratto, con la sua inclinazione alla disperazione suprema e le sue politiche di estrema indifferenza.
[Ma] quando si respinge questo tipo di atteggiamento rispetto al futuro, si resta in contatto al problema in maniera più seria e vitale. Restare a contatto con il problema richiede la capacità di generare parentele di natura imprevista. Questo significa aprirsi a collaborazioni e combinazioni inaspettate, essere pronti a fare parte di caldi cumuli di compost. Con-diveniamo insieme, gli uni con gli altri, oppure non diveniamo affatto.
[…]C’è un bisogno radicale di ragionare insieme in modo nuovo, attraverso le differenze di posizionamento storico e con forme diverse di conoscenza ed esperienza”.
(Donna Haraway)
Simpoietico
che cosa posso dare al mondo
se non protendermi nel vuoto
inter-penetrare il tutto intorno
di alberi macchine animali e spore
radici e liane inappropriate e labili
che cosa posso dare al mondo
se non ricompostarmi nel garbuglio
di tutte le cose rinate e inappropriabili
nel noi che imparentando genera
la scorza tenera e l’intruglio
di un mondo nuovo
altro mostro nostro.