LB: Prima di parlare di Psoas! credo non possiamo tralasciare di dire due parole su questo tuo allargamento, Ivan, verso strumenti come la mandòla e il salterio, a occhio molto distanti dalla chitarra elettrica. Come è nata questa cosa?
IC: Direi che è nata dall’aver fatto alcuni ascolti che mi hanno affascinato e incuriosito. Per la mandola e liuti in generale parlo di Wovenhand, Jozef van Wissem, mentre sul salterio alcune applicazioni sentite in Swans, Sun Kil Moon, Six Organs Of Admittance. L’idea di orientarmi su uno strumento atipico come la mandòla è stata smossa dal voler riscoprire e riprendere una sonorità più europea che americana. L’intenzione è ora di portare questi strumenti in un contesto attuale, togliendoli da una certa cornice classica… anche di repertorio. Ancora sto esplorando.
LB: Mi sembra però che, rispetto ai nomi che citi, tu voglia togliere questi strumenti da una cornice classica per portarli altrove ma mantenendo una loro “classicità”. Intendo dire: nessun pedale, effetti etc…
IC: Per il momento è così… il suono puro del legno e del metallo percosso in questi strumenti è molto evocativo e mi trasporta immediatamente in altri mondi e scenari. L’averli personalmente costruiti mi ha agevolato nell’entrare in relazione con essi, nella sfida di ottenere o avvicinarmi alle sonorità che avevo in testa. Attualmente sono ancora in una fase di studio e scoperta timbrica che sto facendo senza la mediazione / distrazione di effetti. Credo che dopo questa fase ne seguirà un’altra in cui li utilizzerò. Già con Ale ne stiamo parlando.
LB: A te Alessandro come mai interessano queste sonorità?
AR: Le trovo ancestrali, mi rimandano a un passato, anche il mio, di civiltà perdute ma ancora vive dentro di noi, mondi sommersi mai scomparsi. Ascolto molta musica proveniente dal Medio Oriente e dal Nordafrica e questi sono i suoni, insieme al liuto e all’harmonium (aggiungo i canti gregoriani e l’organo liturgico), che più mi evocano immagini universali, sospensione, lentezza, calma interiore. Queste timbriche, associate alle mie sonorità più elettriche, sia analogiche che digitali, mi aprono nuovi mondi e nuove possibilità di esplorazione.
IC: Di fatto gli ascolti di Ale sono da anni anche i miei. La mandòla, il salterio, l’harmonium, la viola e la chitarra classica sono porte di accesso verso altri mondi antichi dove in modo nuovo trovo la fascinazione per droni e musica circolare. Inoltre l’idea di una elettronica e di una musica contemporanea applicata a queste sonorità mi ha sempre affascinato e l’invito di Ale è stata la chiusura magica. Anche io ho seguito sempre con ammirazione e curiosità i lavori e gli sperimentalismi di Ale.
LB: Quindi vi siete un po’ trovati senza neanche troppo cercarvi. Ma vi siete trovati anche sul nome, Psoas!, o è l’idea di uno dei due? E, oltre a ciò, a me sembra che questa parola da un lato sia poco conosciuta, ma dall’altro sia molto programmatica di quello che fate.
AR: Ci tengo a premettere che questo progetto nasce da una vera e proria ramificazione di T¥RSO . Conosco Ivan da tanti anni, ci siamo incrociati come musicisti in varie occasioni e durante una data di T¥RSO nella quale suonavo con “Hiera.”, lui era presente. Parlando dopo il concerto, salta fuori che ha costruito questi due magnifici strumenti, il salterio e la mandòla. Immediatamente ho provato attrazione nonché ammirazione (anche perché, essendo Ivan un bravissimo liutaio, questi strumenti sono stupendi in ogni dettaglio), quindi gli ho chiesto se gli andasse di provare a mischiare queste sonorità con le mie. Tornando al nome. Psoas! è nato da un confronto intenso, dove abbiamo proposto diversi nomi possibili. A un certo punto mi sono ricordato di questo nome, Psoas, che avevo aggiunto anni fa alla mia personale lista di possibili nomi per progetti o idee future e entrambi lo abbiamo trovato perfetto. Il muscolo psoas è fondamentale per legare la parte bassa del corpo a quella alta. È un muscolo profondo e poco conosciuto, ma fondamentale. La sua funzione è quella di collegare le gambe con la colonna vertebrale, consentendoci di stare in piedi, di mantenere l’equilibrio e quindi camminare, saltare. Sarà che sto studiando e praticando Tai Chi e Qi gong e in queste discipline ci sono delle posizioni del corpo che rimandano agli elementi: terra, acqua, fuoco, legno e metallo. Questi elementi sono presenti nella nostra musica e nei nostri suoni ci è sembrato chiaro fin da subito che ci fossero due anime, terra e cielo. Parte bassa (terra), frequenze basse degli strumenti elettrici ed elettronici e parte alta (cielo), salterio e mandòla. In mezzo il corpo. Psoas ci è sembrato un buon simbolo per unire questi due mondi. In oriente veniva definito “muscolo dell’anima”, ma non vorrei addentrarmi in discorsi troppo zen…
IC: La ricerca del nome è stata stimolante, profonda. Volevamo trovare qualcosa che desse respiro e tentasse di coniugare le due anime del progetto. Terra, cielo e i nostri corpi connettivi. Per entrambi c’è stata l’idea di usare la musica come rito di respiro, lentezza, cura e meditazione. Rallentare. Successivamente il nome è diventato Psoas! con l’intento di sprigionare una certa solerzia e gioia esclamata, il punto esclamativo vuole tagliar fuori tutti i possibili richiami alla new age becera e all’occultismo farlocco.
LB: Quindi è un’esigenza personale. Di entrambi?
IC: Direi di sì. Io ho trovato nella drone music e in questi suoni antichi un invito a rallentare, immergersi e respirare profondamente.
AR: Scendere in profondità. Raggiungere stati benefici per il corpo e la mente. Per chi suona e per chi ascolta.
LB: Ho l’impressione che ci sia l’esigenza in Psoas! di generare un mondo altro. Non capisco però se come alternativa o come fuga.
IC: O come ricerca di benessere.
AR: Ricerca di benessere sicuramente, generare altri mondi anche, da sempre questo è il tentativo del fare musica per me. Non tanto come alternativa o fuga ma come immersione dentro se stessi, una esplorazione interna, un viaggio al centro di se stessi, che non ha mai fine.
IC: Con La Nevicata dell’85 considera che sono stato sempre su un altro lato fatto di distorsione, noise, ritmiche feroci… un suono urbano direi. Al contrario con Psoas! il suono sa di cattedrale o di eremo. Sarà che sono vecchio (ride).
AR: Dopo le prove mi sento meglio, è terapeutico.
IC: Idem. Una sorta di rituale.
LB: Ho avuto modo di ascoltare alcune registrazioni che mi ha passato Alessandro. C’è esattamente quello che dite, penso a un pezzo come “Cerimoniale”. Non mi aspettavo invece altri brani molto scuri. Sbaglio?
AR: Non sbagli. C’è qua e là una componente di mistero e una certa tonalità dark-ambient nelle composizioni.
IC: Ma che si rivolge e si risolve sempre verso l’alto, ad una luce.
AR: Si è una musica che si apre. Qualcosa di liturgico, rituale.
LB: Questa oscurità è venuta fuori da sola, penso. No?
IC: Non sento personalmente questo tono scuro… percepisco più un carattere intimo. Siamo portatori di ombre e luci che affiorano continuamente.
AR: Lo sento anche io. I brani più scuri fioriscono sempre verso l’alto. In ogni caso teniamo presente che il progetto è all’inizio, chissà come si evolverà.
LB: In tutto questo quanto conta portare la proprio musica verso l’altro?
AR: Viene tutto in modo estremamente naturale. L’idea musicale portata da uno incontra e viene accolta dall’altro.
IC: Con Ale suono come se gli stessi parlando. Sono in totale apertura e ascolto, curioso di conoscerlo. C’è grandissima stima.
LB: Mi sono spiegato male. Per altro intendo chi ascolta, il pubblico.
IC: Come avrai capito non lo abbiamo contemplato… (ride) Scherzo. Spero che l’altro, chi ci ascolta, si immerga con noi in un mondo di visioni, respiro dilatato. Spero che ci venga concesso.
AR: Siamo ancora rivolti molto all’interno come vedi (ride). Conta moltissimo. È fondamentale. Anche se lo abbiamo sperimentato poco per ora. Ma è fondamentale l’energia che si crea tra chi suona e chi ascolta. Parlo di una dimensione live.
IC: E di una circolarità. Di sicuro i luoghi e i contesti quali l’Azienda Agricola Pecis e prossimamente Bagnatica, aiuteranno ad un ascolto e partecipazione dedicata.
AR: Nella prima esibizione pubblica alcune persone ci hanno ringraziato per il beneficio che abbiamo portato loro. È stato un momento molto bello di profondità e connessione umana.
IC: Concordo.
LB: Ah non la sapevo questa cosa, bella! Se non avete altro da aggiungere, passerei all’ultima cosa che volevo affrontare con voi. Sono ormai parecchi anni che in diverse forme e con diversi gradi di serietà vengono proposte in Occidente musiche fortemente rituali. Che sia una ritualità sciamanica o una ritualità, come l’avete definitiva voi, liturgica, o la ritualità dionisiaca della musica techno, giusto per fare qualche esempio, la ritualità ricorre spesso e negli ambiti più diversi. Secondo voi come mai? Come mai c’è questa esigenza di ritualità?
AR: Forse c’è sempre più il bisogno di tornare a un contatto con un centro che abbiamo perduto, almeno in Occidente, come dici tu. Un centro che ci collega alla terra, alla natura, alle nostre origini, più animali. Abbiamo dato troppo peso al centro cerebrale e intellettuale, sacrificando e dimenticando la nostra parte più intuitiva e istintuale, e ora sentiamo il bisogno, forse la nostalgia, di tornare a essere come eravamo.
IC: Penso che abbia connessioni con lo stato e contesto attuale in cui viviamo. Il rituale ti fa riposizionare o meglio ti obbliga a riprendere una certa scansione del tempo, lenta, intenzionata, ragionata. Un qualcosa che infonde sicurezza, benessere. Nei gesti ripetuti e ritualistici puoi ritrovarti e ripensarti.
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